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Lancia, il sogno e la passione

Lancia Fulvia coupé Rally 1.600 HF

Dal 12 ottobre del 1982 al 30 maggio 1986 ho avuto una Lancia Fulvia coupé Rally targata SI 142087, con il blocco motore del 1.600 cm³, ma di cilindrata 1.298 cm³, a 4 marce con la leva del cambio lunga, di colore rosso a 2 posti più 2, con il cruscotto in legno, interni neri, senza paraurti, i cofani e le portiere in una speciale lega d’alluminio e magnesio denominata Peraluman, anch’essa detta anche “Fanalone” per via dei fari interni più grandi di quelli esterni come il 1.600 cm³ HF. Segue un file PDF con il certificato cronologico emesso da P.R.A. di Siena del veicolo radiato.

La Lancia è una società controllata da Stellantis
È tra le più antiche case automobilistiche italiane, fu fondata il 27 novembre 1906 a Torino da Vincenzo Lancia e si specializzò da subito nella fabbricazione di veicoli di lusso.
Esistette come società autonoma per azioni fino al 1958, anno in cui fu acquistata da Carlo Pesenti, proprietario di Italcementi, il quale, nel 1969, per respingere un tentativo di scalata del suo gruppo industriale da parte di Michele Sindona, cedette l’azienda alla Fiat.
Nel 1986, dopo l’acquisizione dell’Alfa Romeo dall’ente pubblico IRI, accorpò i due marchi sussidiari nella controllata Alfa-Lancia Industriale, in seguito nuovamente scorporati e divenuti separatamente parte di Fiat Auto.
Nel 2007 la Lancia divenne Lancia Automobiles, che dopo la formazione della nuova capogruppo Fiat Chrysler Automobiles è diventata una sussidiaria di FCA Italy, fino al definitivo processo di inglobamento del gruppo italo-statunitense in Stellantis.

la serie di abbozzi per il primo marchio Lancia, creati dal conte Carlo Biscaretti di Ruffia: tra i cinque proposti, Vincenzo Lancia scelse l’ultimo a destra, quello racchiuso nel riquadro rosso

Vincenzo Lancia ritratto al volante di una Fiat 28-40 HP alla 2ª Targa Florio del 1907

la Monna Lisa nella Lancia Fulvia

vari modelli di Lancia da rally

La Lancia tra gli anni ’70 e ’90 e l’ingresso nella galassia FIAT
Impossibilitata ad investire ingenti risorse economiche per lo sviluppo di nuovi modelli tecnologicamente competitivi, nel 1969 la famiglia Pesenti cedette la marca a prezzo simbolico al gigante torinese, che in quel periodo rilevò pure i marchi Autobianchi e Ferrari. Sotto la nuova proprietà, l’azienda venne così sottoposta a un piano di ristrutturazione aziendale, con l’obiettivo di abbattere i costi di gestione societari e di avviare una politica volta ad acquisire nuove fette di mercato nei principali paesi di commercializzazione del marchio.
Per questo motivo, si decise di chiudere definitivamente la divisione Lancia veicoli industriali, per concentrare tutte le energie nella sola progettazione dei futuri modelli di automobile.

In tal modo, a inaugurare il nuovo corso industriale intrapreso dalla Lancia, sarà una due volumi dal design firmato dalla sapiente mano di Gianpaolo Boano, la Beta.
Presentata in occasione del salone dell’automobile di Torino sul finire del 1972, la nuova vettura contraddistinta da una buona abitabilità e da motorizzazioni di origine Fiat, avrà il compito di sostituire a listino l’ormai anziana Fulvia berlina.
La necessità era quella di rilanciare la produttività nello stabilimento Lancia di Chivasso.

Esportata in alcuni esemplari persino nel mercato statunitense, la Beta berlina sarà affiancata in seguito da una lunga serie di versioni derivate: “coupé, decappottabile, fastback HPE e Beta Trevi”; con le quali si cercherà di aumentare presso il pubblico l’offerta del marchio.

La Beta, la Gamma, la Beta, la Stratos e la Delta
Tuttavia, accanto alla Beta e alle derivate, nel 1976 farà il suo esordio la Gamma, un’ammiraglia destinata a riportare la casa torinese nell’orbita del lusso, dopo che la Flaminia era uscita di produzione da ormai diversi anni, senza mai ricevere eredi.
Realizzata in collaborazione con la carrozzeria Pininfarina, che svilupperà pure una interessante variante coupé della Gamma, la nuova berlina dominata da una coda del tipo fastback non riuscirà ad ottenere però il successo sperato.
Complici, una linea troppo originale e la mancanza di alcune raffinatezze costruttive tipicamente Lancia (carenze già riscontrabili nella sorella minore Beta), alle quali bisogna aggiungere la presenza di svariate anomalie progettuali (soprattutto negli esemplari della prima serie), che pesarono notevolmente su un modello nato ormai vecchio, visto e considerato che gli studi, avviati quando era ancora attivo l’accordo par.de.vi tra la FIAT e il costruttore francese Citroën, avevano subito un lungo e complicato processo di gestazione.

Con il passaggio di gestione, l’immagine della marca continuò ad essere legata al mondo delle corse.
Durante gli anni settanta – ottanta nasceranno infatti svariate automobili da competizione, come la Beta Montecarlo Turbo e soprattutto la Stratos, una straordinaria macchina da rally con motore 6 cilindri Ferrari-Dino, campione del mondo nelle stagioni 1974, 1975, 1976 e vero oggetto di culto tra gli appassionati.
Ma il vero jolly commerciale arriverà nel 1979, con la presentazione al pubblico della compatta Lancia Delta.
Una vettura disegnata da Giorgetto Giugiaro sfruttando la base meccanica della Fiat Ritmo, che venne ampiamente rimaneggiata dallo staff tecnico indipendente dell’allora ancora esistente Lancia Spa.
Vincitrice dell’ambito premio automobilistico auto dell’anno nel 1980, la Delta andò a rimpiazzare nelle vendite la Fulvia coupé e fu la prima autovettura ad avere a quei tempi la convergenza regolabile su tutte e quattro le ruote; dato che adottava, anche per il retrotreno, un sistema di sospensioni progettato dall’Ing. Sergio Camuffo, notevole evoluzione del Mc Pherson.
Ottenne sin dagli inizi un successo clamoroso (tant’è che alcuni esemplari furono venduti col marchio Saab ed anche in dotazione alla polizia svedese), rimanendo in produzione per ben quattordici anni, con varie versioni sportive a trasmissione integrale (fra cui le S4 e le 4WD) che fecero incetta di titoli mondiali rally: sei consecutivi dal 1987 al 1992.

Lancia Fulvia, la berlina (1963-1972)
La Lancia Fulvia è un’automobile prodotta dalla casa automobilistica torinese Lancia dal 1963 al 1976 con 3 tipi di carrozzeria: berlina 4 porte, coupé e coupé Sport Zagato.

Dalla berlina derivò, nel 1965, un’elegante e sportiva coupé, che riscosse un buon livello di vendite, grazie alla bellezza della linea, al prezzo relativamente contenuto di 1.545.000 lire (Quattroruote, Aprile 1965) ed in un secondo tempo, all’impulso derivante dalle numerose vittorie nelle gare di rally, culminate con la conquista del Campionato Internazionale Rally 1972 (antesignano del Campionato del Mondo Rally che sarà istituito l’anno successivo).

Disegnata da Piero Castagnero, che s’ispirò secondo le sue dichiarazioni al motoscafo Riva, la Fulvia Coupé (costruita nella fabbrica Lancia di Chivasso) è una berlinetta sportiva a 2 posti più 2, dall’aspetto curato sin dai minimi particolari (come la plancia rivestita in vero legno) coadiuvato da un assetto di guida corsaiolo.
In realtà, sono piuttosto evidenti le similitudini del frontale e della linea di fiancata con il prototipo presentato da Giovanni Michelotti al Salone di Torino del 1961, su meccanica Fiat 1300/1500.

Realizzata sul pianale accorciato (il passo era di 2.330 mm, cioè di 150 mm più corto) della berlina, la compatta coupé Lancia era spinta, al momento del debutto da una versione di 1.216 cm³ da 80 CV del V4.
L’alimentazione era a due carburatori a doppio corpo Solex, mentre il cambio (a 4 marce) aveva la leva a cloche tra i sedili.
Grazie al peso contenuto in 950 kg, la piccola sportiva raggiungeva i 160 km/h.

Incoraggiata da una valida tenuta di strada e dalle doti telaistiche della vettura, la Lancia introdusse subito nel 1966 un potenziamento a 88 CV del motore sulla versione HF alleggerita con cofani e portiere in una speciale lega d’alluminio e magnesio denominata Peraluman.
La carrozzeria venne alleggerita, grazie all’eliminazione dei paraurti, alla semplificazione dell’allestimento interno, all’utilizzo di lamiere più sottili nelle parti non strutturali e all’adozione di un lunotto a vetri posteriori in plexiglas.

Esteticamente la Coupé HF era riconoscibile per la banda verniciata giallo/blu su cofani e tetto, per l’elefantino sui parafanghi anteriori e la verniciatura in Amaranto di Montebello.

Con l’introduzione del motore 1.298 cm³ da 87 CV DIN della Rally 1.300 (169 km/h e prezzo di listino 1.630.000 lire), il motore della coupé 1.200 venne portato a 1.231 cm³ per uniformare il ciclo di produzione e l’offerta della motorizzazione 1.200 (mantenuta per motivi esclusivamente fiscali). Le nuove motorizzazioni vennero modificate nell’angolo di bancata, riducendolo a 12°45’28”, per ottenere un alesaggio maggiore.
Era il preludio al lancio di una vera versione sportiva da far correre nei Rally, che avvenne l’anno successivo con la presentazione della versione Rally 1.300 HF.

Le novità apportate all’HF, rispetto alla versione standard, furono molte e sostanziali, tali che la potenza crebbe a 101 CV grazie ad una serie di modifiche: pistoni, albero motore, rapporto di compressione, carburatori.
I successi di categoria ottenuti dalla HF, ispirarono la versione HF fanalone di serie che, con propulsore potenziato a 143 CV e dotato di radiatore dell’olio, prese il posto della versione standard nel 1968.

Intuendo le potenzialità della vettura, che con i suoi 1.298 cm³ non poteva competere per il titolo assoluto, Cesare Fiorio, responsabile del Reparto Corse Lancia, ottenne, nonostante le risicate risorse finanziarie, il benestare per sviluppare ulteriormente l’HF.
Il risultato fu la Rally 1.600 HF del 1969 (detta anche “Fanalone”, per via dei fari interni più grandi di quelli esterni): 1.584 cm³, 120 CV (160 CV la versione da corsa), 850 kg, cambio a 5 marce, assetto da corsa (camber negativo), sterzo diretto e cerchi in lega con pneumatici maggiorati.
La “fanalone” permise alla Lancia di aggiudicarsi numerosi rally ed il Campionato del Mondo del 1972.

Restyling 1970, Lancia Fulvia Coupé 1.600HF II Serie
Nel frattempo la Lancia era stata acquisita dalla Fiat, che non vedeva di buon occhio gli elevati costi di produzione dei modelli Lancia.
La Fulvia Coupé era all’apice della carriera e non era pensabile ucciderla, ma occorreva ridurne i costi produttivi.
Fu questo il principale scopo del restyling del 1970.

Lancia Fulvia Coupé 1.300s del 1972 per l’Inghilterra con i fari esterni rialzati e la guida a destra
A livello estetico i cambiamenti erano minimi (nuova mascherina più sottile e lineare, paraurti con fascia protettiva in gomma nera), mentre sotto il profilo tecnico si segnalava l’adozione del cambio a 5 marce anche sulla Coupé 1.300 S (con motore di 1.298 cm³ da 90 CV DIN), un notevole miglioramento dei freni e della geometria delle sospensioni anteriori.
I risparmi veri erano sui materiali interni (il legno della plancia era impiallacciato su plastica) ed esterni (eliminate le parti in peraluman che comparivano casualmente su alcune vetture).

Oltre alla Coupé 1.300 S, la gamma includeva la Coupé 1.600 HF (1.584 cm³, 115 CV) e la 1.600 HF Lusso.
La prima aveva carrozzeria priva di paraurti, sedili sportivi, allestimento semplificato.
La seconda, aveva dotazioni più raffinate come i sedili con poggiatesta, i deflettori sulle portiere, insonorizzazione completa.
Le Coupé 1.600 HF erano dotate di cerchioni Cromodora in lega leggera e la carrozzeria con parafanghi allargati che, assieme ad una meccanica più sportiva con camber negativo e sterzo diretto, le distinguono dalle 1.300 S.

Per celebrare la vittoria del Rally di Montecarlo del 1972 fu allestita sulla carrozzeria a passaruota allargati (simili a quelli della Coupé 1.600 HF) una serie speciale di Coupé 1.300 S, con livrea bicolore analoga alla vettura da corsa – la cosiddetta Montecarlo – che però ricalcava le normali prestazioni delle 1.300 S stradali.

Restyling 1973 (Fulvia 3)
La Fulvia 3 del 1973 è stata l’ultima evoluzione della celebre Coupé Lancia.
Quando, alla fine del 1972, la Fulvia berlina fu tolta di listino, la Coupé vendeva ancora bene e rimase in produzione.
Per non fare concorrenza alla nuova Beta Coupé, nel 1973 la gamma venne ridotta alla sola versione 1.300 da 90 CV e sottoposta ad un leggero aggiornamento, nacque così la Fulvia 3.

I ritocchi erano mirati ad aggiornarne l’estetica, nonché a rispondere ai nuovi standard di sicurezza stradale, cercando di contenere ancora di più i costi: la mascherina divenne in plastica nera conformemente alla moda dell’epoca, il volante in materiale sintetico imbottito, furono adottate cinture di sicurezza fisse a 3 punti ed i poggiatesta; il pomello della leva del cambio in legno (come sulla Beta Coupé e sulla Stratos) e un cruscotto con strumenti a sfondo bianco al posto di quelli neri della seconda serie.

Il restyling segnò anche l’abbandono delle competizioni, dove fu sostituita dalla mostruosa Stratos.
Dalla 3 derivarono le versioni Montecarlo e Safari, quest’ultima costruita in sole 900 unità, diverse dalle altre Fulvia vista l’assenza del paraurti anteriore e l’impiego dei cerchi verniciati in nero, così come la mascherina, la presa d’aria e i tergicristalli.
La produzione della Fulvia 3 cessò nel 1976, quando fu lanciata la versione 1.300 della Beta Coupé, risultando al contempo l’ultima vettura della casa torinese ad essere equipaggiata con il longevo motore Lancia V4.

La Fulvia Coupé fu prodotta in 140.454 esemplari, di cui 6.419 HF (circa 1 su 20).